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Cenni storici

Storia e funzioni dell’Opificio.

Nelle varie stanze dell’antica casa-luogo di lavoro dove l’energia per le macchine era tratta dall’acqua, si ha ora la possibilità di mostrare l’importanza delle opere che seppero fare i bolognesi fin dal Duecento.

Fin dal 1580 è segnalata la prima concessione a due soci di fabbricare una casa matta murata sopra il Canale di Reno da utilizzare come edifizio idraulico, mediante la costruzione di una grande volta in pietra eretta a cavallo del canale, vicino al suo punto d’ingresso in città ove era posta la grata (grada) in ferro all’esterno delle mura, tuttora visibile su viale Vicini.  La volta che copriva un breve tratto di canale appare già rappresentata nella grande Pianta prospettica di Bologna, affrescata su commissione di papa Gregorio XIII (1575) nella Sala Bologna in Vaticano.

Solo nel 1681 prende forma l’Opificio della Grada, in seguito alla richiesta dell’imprenditore Giovanni Battista Mengarelli all’Assunteria dei Magistrati e all’Arte dei Pellacani  di poter costruire una Conceria (Pellacaneria) – avendo  egli appreso il modo di

“conciare le pelli di vitello ad uso d’Inghilterra e la vacchetta ad uso d’Ungheria, desiderando d’esercitare e introdurre tal professione in questa città” – con facoltà di installare “una ruota a palette a pelo d’acqua senza restringere in alcuna maniera il canale”.

I documenti indicano che nel 1683 la Conceria era già costruita; al suo interno erano attive alcune paratoie atte ad alzare il livello dell’acqua per creare una botte, al fine di alimentare una ruota verticale a palette destinata ad azionare una valchiera e un pistrino, utilizzati per triturare e polverizzare le cortecce di alcune piante, le noci di galla (Quercus infectoria), e le ghiande della quercia Vallonea, dalle quali venivano estratti i tannini necessari per la concia delle pelli. Il flusso dell’acqua azionava anche un sorbitoio (ruota per sollevare l’acqua simile a una noria) utilizzato per irrigare il terreno confinante con l’edificio.

Nella Conceria veniva svolta l’intera procedura conciaria che portava a trasformare le pelli di diversi tipi di animali in un prodotto di elevata qualità,  pronto per le successive lavorazioni dei cuoi destinati a realizzare finimenti per animali, rivestimenti per pareti ed arredi, rilegature di libri, calzature e capi d’abbigliamento, custodie per oggetti. La concia prevedeva tre successive operazioni: la prima, detta rinverdimento, serviva a riportare le pelli, essiccate con la salatura, allo stato originario mediante l’immersione in latte di calce (idrato di calcio) per eliminare i peli dell’animale. Seguiva la fase della macerazione, volta ad ottenere l’ammorbidimento, mentre la terza fase consisteva nella vera e propria concia, con immersione delle pelli in vasche piene di liquidi tannici di diversa concentrazione, che permetteva di trasformare la pelle in vari tipi di cuoio. Infine le pelli venivano asciugate all’aria nella grande altana, appositamente costruita all’ultimo piano del fabbricato.

Le foto storiche dell'Opificio

Dal 1724 ai giorni nostri.

Nel 1724 Luca Mengarelli, erede di Giovanni Battista, a causa di molti debiti vendette l’edificio al cardinale bolognese Pompeo Androvandi, il quale destinò gli utili della conceria al Capitolo di San Petronio, che ne divenne proprietario solo nel 1775; i proventi dell’attività conciaria contribuirono così alla costruzione della cappella Aldrovandi all’interno della Basilica di San Petronio. Nel 1791 la conceria fu acquistata dal Corpo degli Interessati del Canale di Reno (ora Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno) al fine di regolare meglio il flusso dell’acqua del canale secondo le necessità degli utenti. L’attività conciaria proseguì fino al 1841, anno in cui il fabbricato compare ancora citato nel Catasto come conceria della Grada. Nel 1842 si ha notizia della volontà di sostituire la valchiera con due macine da grano, operazione che incontrò l’opposizione dei proprietari di altri Opifici posti lungo il canale. La trasformazione in Molino da grano è documentata nel 1854, con l’affitto a un conduttore che lo gestì per oltre dieci anni. Tra il 1867 e il 1878 un nuovo affittuario convertì l’opificio in Pila da riso, realizzando lavori di ampliamento che portano l’edificio all’aspetto odierno, con la copertura della zona sopra le paratoie e la costruzione del corpo aggettante che si affaccia sul canale; i locali al piano terra con accesso da Via Calari erano all’epoca utilizzati come stalla per i cavalli.

Nel 1870 venne introdotta in tutto l’edificio l’illuminazione a gas, poi nel 1892 un incendio distrusse la parte centrale dell’edificio, che venne parzialmente ricostruita con una diversa disposizione dei solai. Nel 1898 l’Istituto Ortopedico Rizzoli, da poco inaugurato, richiese l’uso di alcuni locali del piano terra e dell’interrato per installarvi una Centrale idroelettrica per condurre l’energia elettrica fino al colle di S. Michele in Bosco ad uso dell’ospedale. L’impianto, attivato nel 1899, sfruttava un piccola caduta d’acqua (da m 0,72 a m 1,16) ed era costituito da due turbine a reazione, tipo americano, a camera libera,  alle quali si aggiunse una terza turbina, collocata nel tornacanale al posto di una vecchia ruota a palette. La Centrale rimase in funzione fino al 1926, poi nel 1930 l’impianto fu definitivamente smantellato.

All’inizio degli anni ’90 del Novecento il Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno valutando la precarietà strutturale dell’immobile decise d’intervenire, destinando il primo piano a sede dei Consorzi di Reno e di Savena, con una parziale ristrutturazione realizzata su progetto dell’arch. Daniela Villani. L’intervento ha consentito di sistemare uffici e sale di riunione, oltre ad accogliere i fondi archivistici storici, riordinati con la supervisione della Soprintendenza Archivistica.

Dal 1998 furono rinnovati tutti i meccanismi di manovra ed attivato il centro di controllo dei canali dei comparti di Reno di Savena. Su progetto dell’ing. Renzo Ferriani venne poi realizzata, con finalità didattico-divulgative, la ruota verticale (del diametro di m 4,5 provvista di 27 pale), collocata nel punto esatto ove era quella dell’opificio, rimossa nel 1892. Il funzionamento è comandato da una paratoia che regola il flusso dell’acqua del canale azionando la ruota dal basso.

Fra il 2018 e il 2020 una vasta porzione del piano terra e dei sotterranei è stata recuperata e ristrutturata su progetto dell’arch. Francisco Giordano, per accogliere l’Opificio delle acque – Centro didattico documentale, dedicato alle molteplici attività culturali, espositive e didattiche inerenti la storia idraulica della città ed ai temi più attuali connessi all’uso corretto delle risorse idriche del suo territorio.

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